Nella fotografia scattata dall’Appennino piacentino si scorge l’arco alpino che svetta dietro lo strato grigio e in parte nebbioso della Pianura Padana.
L’inversione termica però non è proprio “freddo finto“. Dato che ultimamente va molto di moda questa definizione, vorrei sottolineare che l’inversione termica è una condizione piuttosto tipica della stagione fredda.
Commentando un inverno mite dovremmo focalizzare l’attenzione non tanto sul fatto che eventuali strati freddi prossimi al suolo contrastino con la mitezza della collina o della montagna, bensì dovremmo osservare che i geopotenziali che caratterizzano gli anticicloni negli ultimi anni sono più alti, di conseguenza c’è una maggior subsidenza e una maggior secchezza dell’aria negli strati medi e quindi una temperatura più elevata in generale.
Anche le zone sotto l’inversione termica hanno mediamente una temperatura più alta rispetto alle medesime situazioni del passato. Spesso è la discriminante sotto zero o sopra zero a far credere che ci si trovi dentro o fuori dall’inverno, ma sono valutazioni del tutto soggettive.
Innanzitutto sarebbe opportuno contestualizzare i valori termici registrati con la zona e con le caratteristiche climatiche di quel particolare luogo. Il cambiamento climatico negli ultimi anni ha imposto una maggior presenza di situazioni anticicloniche, specialmente di quelle connotate da geopotenziali elevati perché direttamente alimentate dalla radice subtropicale, più alta di latitudine e più invadente rispetto a un tempo.
Anche la maggior presenza di blocchi meteorologici fa sì che ci sia una minore alternanza tra le varie figure bariche a tutto danno, alle longitudini italiane, delle situazioni depressionarie. Le longitudini dell’Italia e dell’Europa occidentale risultano le più interessate dai blocchi meteorologici rispetto a tutte le altre del nostro emisfero.
Parlando di clima dovremmo sottolineare il fatto che le regioni settentrionali, durante la stagione invernale, hanno la minore piovosità dell’anno. La stagione è la più secca al secondo posto per le zone di bassa pianura e al primo posto per quelle di alta pianura e sulle Alpi.
È invece la stagione piovosa per il mezzogiorno che dovrebbe rimpinguare così le proprie riserve idriche in vista della siccità estiva. È facile immaginare che in presenza di un robusto e duraturo anticiclone, sulle regioni alpine vengono a mancare quelle poche precipitazioni invernali che un tempo punteggiavano con maggiore regolarità il calendario e che, seppur non sempre abbondanti, univano l’abbondanza nevosa dell’autunno a quella della primavera.
Al Sud questi anticicloni invernali sconvolgono maggiormente l’andamento stagionale, in quanto risulta più marcato il calo delle precipitazioni e così si amplificano le conseguenze sulla tenuta delle riserve idriche nei mesi successivi.
Una parziale attenuante fino ad ora è stata la neve che comunque è caduta al di sopra di una certa quota sulle Alpi tra novembre e dicembre, in altre annate la stagione iniziava del tutto a secco. Lo stesso non si può dire dell’Appennino, in gran parte privo di neve. E per il futuro? Il vortice polare così veloce e tondo scambia poco calore con l’esterno e tende così a crescere. A questo punto c’è solo da augurarsi che lo faccia alla svelta, diventando ipertrofico e instabile. C’è qualche segnale in merito, ma è ancora presto per dire se sarà un disturbo temporaneo o qualcosa di più strutturato.
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Di Luca Ronca ( isobare.it )